Telecom Italia ha già versato 400 milioni all'erario per la vicenda Sparkle (presunta frode fiscale, su cui l'ex Ad di Fastweb, Scaglia, si è fatto alcuni mesi di prigione) e rischia ora di pagare altre centinaia di milioni a causa della sua passata gestione, che avrebbe lasciato mano troppo libera alla Security (il caso Tavaroli-Sismi, per intenderci). Non si sa a quanto salirà il conto, ma presumibilmente a ben di più di 500 milioni. E rimane l'impressione che nell'impresa succedesse di tutto senza che i vertici sapessero alcunché (vero o falso? lo diranno i magistrati).
A metà dicembre il Cda di Telecom Italia (con il voto contrario del consigliere indipendente Zingales) decide di non chiedere i danni agli amministratori precedenti. Con più di mezzo miliardo in ballo e un’immagine pesantemente compromessa, pare una decisione incredibile. Ma il Cda non dovrebbe fare gli interessi degli azionisti? E in che senso tali interessi sono tutelati dalla decisione del Cda di proteggere gli ex amministratori?
Si parla spesso di capitalismo consociativo, di reti di interessi che legano comunque le società (e chi siede nei consigli) ben oltre gli effettivi legami azionari, ed evidentemente anche quando i legami azionari si sono sciolti.
È stato un bruttissimo episodio, sul quale abbiamo taciuto nella speranza che succedesse qualcosa. Ma evidentemente la cosa sta bene a troppi. E non emergono le ragioni della decisione, e neppure i documenti che giustificherebbero la decisione stessa. Brutto momento per la tutela degli investitori. Brutto per la trasparenza dei mercati azionari.
C'è solo un modo con cui il Cda può fugare il dubbio di voler con una mano lavare l'altra: coprendo le malefatte di passate e presenti gestioni: renda pubblici i rapporti sulla gestione precedente sulla base dei quali ha preso la sua decisione. I piccoli azionisti hanno diritto di sapere.
Fonte: Tito Boeri e Carlo Scarpa - LaVoce.info
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