Invece di ripetere «stancamente» le cose già dette mille altra volte, Marchionne s'impegni in Italia come ha già ha fatto a Detroit: vedrà che le cose cambieranno anche qui. Susanna Camusso, leader della Cgil, commenta le accuse rivolte dall´amministratore delegato di Fiat e Chrysler al sindacato che lei dirige con un: «Nulla di nuovo, parole già sentite».
Una novità, a dire il vero, c´è: Marchionne ha annunciato che il quartier generale della società non si sposta, resta a Torino. Non è un bella notizia?
«Lo sarebbe, se l´affermazione fatta fosse così netta, ma non lo è: l'amministratore delegato ha solo detto che il problema non è sul suo tavolo, quindi che non è prioritario. Non sono parole chiare, i dubbi sul disimpegno restano. Marchionne si lamenta che l´America lo ama e l´Italia no, ma si è mai chiesto perché?».
Secondo lei?
«Perché là ha preso impegni e li ha rispettati. Faccia lo stesso qui: ci dica cosa c´è nel piano, cosa vuol fare dell´Italia, che ruolo vuole riservare a questo Paese nell´internazionalizzazione dell´azienda. Perché sia chiaro, nessuno ha mai pensato che la politica dell´internazionalizzazione sia sbagliata, ma vorremmo conoscerne i termini e discutere di politica industriale».
Quindi la Cgil non pensa di cambiare atteggiamento, come l´ad Fiat chiede?
«Direi che è l´intero scenario che va cambiato, non il nostro atteggiamento: parliamo, appunto, di politica industriale e facciamolo con responsabilità, rispettando le leggi del paese nel quale operiamo e tenendo a mente che il rilancio di un´azienda non è in contrapposizione con i diritti delle persone che vi lavorano. Se Fiat manterrà i suoi impegni, noi faremo la nostra parte su turni e produzione, come già fatto molte altre volte».
Da quanto tempo è che lei non incontra Marchionne?
«Ci siamo visti al Lingotto in occasione del referendum alla Bertone. Allora si disse che, davanti al grande senso di responsabilità dimostrato dal sindacato, la discussione sulla Fiat sarebbe ripartita. Non è vero, non ...
c'è stato nemmeno un cenno».
Lei parla di rispetto dei diritti dei lavoratori, non è che alla Chrysler il rilancio c´è stato anche perché i dipendenti ne hanno di meno rispetto ai colleghi italiani?
«Non direi proprio, non dimentichiamo che il sindacato americano è quasi proprietario di Chrysler ed è nei fondi pensione. Sono due sistemi che non si possono comparare. Non è quello il problema, il problema è nel rispetto delle regole che si sono».
Se, come chiede anche il Pd, Fiat metterà sul piatto i 20 miliardi d´investimento promessi le cose potranno cambiare?
«Sarebbe un buon segnale. Gli atteggiamenti sono funzionali alla percezione che si ha delle cose fatte».
I commenti fatti da Marchionne sul quadro italiano sono stati fatti propri dal ministro del Lavoro Sacconi, che ha parlato di sindacato conformista, magistratura ideologica e borghesia bancaria. Che ne pensa di questa compagnia?
«Penso che i fantasmi che Sacconi ha in testa stiano diventando un serio problema. La sua è un modalità assolutamente insopportabile: visto il suo ruolo di ministro del Lavoro dovrebbe imporre il rispetto delle regole, dovrebbe stare dalla parte dei lavoratori, invece spende il suo tempo in cerca di fantasmi e nemici».
Quanto ha pesato la rottura fra voi, Cisl e Uil nella vertenza Fiat?
«Moltissimo, sia in termini di rappresentanza che di democrazia. E´ stata la Fiat a voler escludere il più grande sindacato italiano, ma Cisl e Uil hanno subito accettato».
Il 18 giugno ci sarà la prima udienza del ricorso Fiom per la newco di Pomigliano, lo stesso giorno Cisl e Uil saranno in piazza insieme per chiedere un nuovo fisco. Almeno quello non era terreno in comune?
«Temo che non si chieda più la stessa cosa, ovvero una politica redistributiva che incida sui grandi patrimoni e s´impegni nella lotta all´evasione. Ora si sta semplicemente spostando la tassazione dalle persone alle cose, il che non solo non avrà lo stesso impatto redistributivo, ma penalizzerà i redditi bassi. Sia perché favorirà l'inflazione, sia perché sarà aumentata tutta l'Iva, anche quella sui consumi obbligati».
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