mercoledì 7 settembre 2011

Pochi immigrati; «Scioperare non è ancora un diritto» - di Irene Panighetti su BresciaOggi

L'unico striscione di soli immigrati è quello dei rifugiati ospitati a Brescia: 32 persone provenienti da Nigeria, Mali e Ciad in fuga dalla guerra libica. Nel resto del lungo corteo le facce non italiane sono poche e quelle presenti sono pressoché tutte di Rsu cgil di grandi fabbriche.
«NON È che gli immigrati non sentono questo sciopero, anzi- spiega Ibrahim 'Ndyane, della Fillea cgil -: quelli delle grosse realtà come l'Iveco ci sono. Il problema è per gli immigrati delle piccole aziende, dove non c'è il sindacato, e per quelli dell'edilizia, dove partecipare ad uno sciopero significa fare uno sgarro al capocantiere e rischiare il posto. Sciopera chi ha garanzie, chi invece è ricattabile non può permetterselo anche».
Maqsood Hassan, di origini pachistane, rsu alla NordZink di San Gervasio, conferma: «In fabbrica quasi la metà di noi è di origine straniera, abbiamo partecipato tutti allo sciopero perché la manovra è contro tutti i cittadini. Il padrone si arrabbia con chi sciopera, anche se gli immigrati rischiano di più».
Anche alla Cf Gomma di Passirano l'adesione è stata alta: «Quasi tutti sono usciti - garantisce Seck Badara, senegalese, da 21 anni in Italia -: lo hanno fatto anche gli immigrati, perché hanno capito l'importanza della mobilitazione». «Non ce la facciamo più a essere trattati così - incalza Issa Bousso, senegalese responsabile dell'ufficio immigrati di Manerbio, che tuttavia ammette: - gli immigrati sono più precari degli italiani e quindi è più faticoso farli scioperare».
IMMIGRATI in Italia da anni, chi già con la cittadinanza, consapevoli e quasi tutti sindacalizzati: questo il profilo medio delle persone in corteo. Per gli altri i problemi sono stati troppi per permettere la
partecipazione: «Gli immigrati a Brescia, ma direi in Italia, sono in condizioni di forte marginalità - valuta Beatriz Delavega, lavoratrice nel pubblico impiego, di origini uruguaiane e non iscritta alla cgil - non hanno molte notizie di quello che succede anche perché i colleghi italiani non socializzano granchè. E poi sono in pochi quelli che possono permettersi di astenersi dal lavoro correndo il rischio di essere lasciati a casa o di non aver guadagnare abbastanza per comprare il pane. Per non parlare delle immigrate…».
Già, le donne: in corteo pressoché assenti donne immigrate «chi fa il lavoro domestico non può certo essere qui, lasciando soli anziani o bambini- continua Delavega- per questioni di coscienza ma anche di precarietà». Tra le rarissime eccezioni c'è Zharà Rahme, studentessa del Calini di origini libanesi ma nata in Italia, che partecipa «contro i tagli alla scuola e al diritto allo studio».
MA L'ASSENZA degli immigrati ha anche un altro motivo: «Lo sciopero avrebbe avuto più presa se avesse messo tra i suoi obiettivi primari la lotta contro il legame stretto tra contratto e permesso di soggiorno - osserva Felice Mometti, del presidio sopra e sotto la gru - quando i sindacati confederali lo capiranno ai loro scioperi ci saranno certamente più immigrati».
Spicca quindi la presenza organizzata dei rifugiati, che hanno saputo dello sciopero al corso di alfabetizzazione che frequentano in cgil. «Siamo qui per difendere i diritti», spiega in francese Kunateali, 29 anni, dal Mali; «ringrazio il popolo italiano ma non il governo» aggiunge in arabo Abdullag, 25 anni, proveniente dal Ciad che in Libia studiava e si trovava bene ma che ha dovuto scappare in seguito alla guerra; «ci aspettiamo aiuto e non un permesso di soli sei mesi», conclude in inglese Precious, nigeriano di 24 anni che in Libia aveva un lavoro e oggi, in Italia, non ha che lo striscione che regge, che inneggia a diritti che per lui, ad oggi, sono solo un miraggio.

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