ROMA. Operare in rete fa bene alle piccole imprese: migliora le performance produttive, aumenta il fatturato, tagliai costi, allenta addirittura lo stretto rubinetto del credito bancario, si rivela insomma un antidoto efficace alla crisi.
Il 38,5% delle aziende che hanno sottoscritto un contratto di rete, segnala un incremento del fatturato, il 33,3% un aumento degli investimenti.
Ancora più ottimiste le imprese che da meno di un anno agiscono «in rete»: la metà di esse prevede di aumentare fatturato e investimenti; quasi una su quattro (24,8%) segnala una diminuzione dei costi di produzione.
Sono questi alcuni degli incoraggianti risultati di un’indagine del ministero dello Sviluppo economico su un campione di imprese aderenti ai contratti di rete, indagine pubblicata nella relazione annuale del Garante per le micro, piccole e medie imprese, Giuseppe Tripoli.
Per oltre un terzo delle imprese, aver aderito a un contratto di rete ha comportato il vantaggio di avere accresciuto il proprio knowhow e migliorato le proprie relazioni commerciali. Non solo. Allo sportello bancario per ottenere credito, la partecipazione a un contratto di rete è considerata un «plus» di merito e fa diminuire tassi, richieste di garanzia mentre apre i rubinetti del credito. Ma cosa sono i contratti di rete? Si tratta forme di aggregazione istituite per legge nel 2009, che consentono ad aziende anche geograficamente lontane di operare insieme (mantenendo però autonomia giuridica e operativa), condividere knowhow, investire in ricerca, avviare strategie di sviluppo nei mercati esteri.
Tutte attività che le imprese, soprattutto se piccole, da sole non riuscirebbero a realizzare.
In poco più di due anni (da marzo 2010 a novembre 2012) sono stati realizzati 523 contratti di rete che
coinvolgono circa 2.800 imprese distribuite su tutte il territorio nazionale.
Aumento della competitività sul mercato interno (63,8% che sale al 73% per le micro imprese), innovazione di prodotto e di servizio (59,9%), promozione di un marchio comune (52,3%), aumento della capacità competitiva sui mercati europei (50,7%), sono tra gli obiettivi indicati dalle imprese intervistate.
Il 59,2% delle aziende non fa parte di altre forme di aggregazione, quasi tutte hanno dato vita a un Fondo patrimoniale che può andare dai 10mila fino a 200mila euro (la media è tra 10 e 30mila euro). La durata media del contratto di rete va dai 10 ai 20 anni.
«La lunga durata del contratto (oltre 10 anni per almeno il 30% del campione) accompagnata da una governance abbastanza complessa, testimoniata dalla presenza del fondo patrimoniale e di un organo comune per circail 90% delle imprese intervistate, sembra evidenziare l’importanza del ruolo attribuito dalle imprese a questa modalità di aggregazione», rileva il Garante.
Oltre 6 Pmi su 10 pensa che le banche dovrebbero valorizzare la partecipazione dell’impresa alla rete, comunque il 20,4% delle piccole e il 25% delle grandi segnala che già la banca considera questo fattore un plus di merito, tanto da far calare le garanzie richieste (38,/%), i tassi di interesse (per il 12,9%) mentre aumenta la quantitàdi credito concesso (21%).
Fonte: Giornale di Brescia del 25 febbraio 2013
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